Partiamo da un assunto: Le regole, specialmente in arte, sono fatte per essere infrante.
Da quando esiste l’arte, ovvero da quando esistono persone che disquisiscono attorno all’arte, è nata una branca della filosofia, che è l’estetica, che si è interrogata attorno al concetto di arte e di bello. E da quando esiste la riflessione attorno all’estetica è sempre esistito un approccio contrapposto, antitetico se vogliamo, di due diverse fazioni. Da una parte esistono i sostenitori dell’arte e della bellezza in generale intesa come giudizio di gusto. Ovvero una cosa mi piace perché in qualche modo stimola determinate corde del mio modo di comprendere il mondo e, quando queste corde appunto vengono toccate, percepisco una sorta di vibrazione interiore; allora comprendo di trovarmi di fronte a qualcosa che mi piace, che potrei definire bello. E’ un approccio di pancia che sfrutta i sensi sulla ragione e che alcuni sintetizzano nel luogo comune “non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace”. A questo filone di pensiero se ne contrappone un’altro che cerca di trovare una formula, un codice, per poter andare a definire un linguaggio e delle regole predeterminate di bellezza. Stiamo parlando di una bellezza che in qualche misura è quindi frutto di ragionamenti anche matematici. Basti pensare a Leonardo, Fibonacci, Vitruvio e Le Corbusier, solo per citare alcuni esempi in cui dei grandissimi pensatori hanno cercato in qualche modo di trovare una formula matematica alla quale far sottostare la bellezza.
Benchè mi piacerebbe, temo non sia questa la sede per poter aprire un dibattito sul concetto di arte e di bellezza. Quello che mi preme sottolineare è come, nonostante esista un modo di interpretare e creare l’arte completamente svincolato da regole, ne esiste un’alto che ha cercato codificare tali regole. Per quanto, come premesso nell’assunto iniziale, sia convinto che le regole in arte siano fatte per essere infrante, sono altresì convinto che per poter infrangere una regola sia fondamentale conoscerla e in qualche modo averla studiata e sperimentata sul campo. Ecco quindi di seguito alcune regole di composizione.
Semplicità
La prima regola di cui vorrei parlare non è una vera e propria regola. Tuttavia la considero un dogma, specialmente quando si è agli inizi.
La sostanza di questa regola è tutta qui: keep it simple. Ovvero “falla facile”. Perchè andare a complicarsi la vita cercando di includere mille elementi all’interno di una composizione? Chi l’ha detto che più cose riusciamo ad inserire nell’immagine meglio è? E’ piuttosto vero il contrario.
Gli anglofoni usano un detto "sometimes less is more"
Inserire pochi elementi nella composizione di una fotografia porta una serie di benefici. Innanzitutto nel momento di scatto ci costringe a concentrarci su poche cose, permettendoci di focalizzare tutti i nostri “sforzi” per fare una bella composizione “giocando” solo con pochi elementi. Così facendo sarà molto più semplice evitare che elementi si accavallino fra di loro nella composizione, evitando in questo modo di creare nell’immagine una sorta di caos che la renderebbe difficilmente leggibile. Spesso una delle affermazioni che cerco di impormi mentalmente quando fotografo è se non è fondamentale per ciò che voglio esprimere allora non ha ragione di esistere nella composizione…
Oltre a semplificare la vita al fotografo tale regola aiuta anche l’osservatore. Una fotografia composta da pochi elementi, magari un soggetto, uno sfondo e al massimo un elemento in primo piano è una fotografia che non stanca l’occhio a correre a destra e a sinistra alla ricerca di una lettura di tutti gli elementi.
Immagini semplici, due tre elementi che diventano quasi dei quadri astratti di un mondo che è in parte lo stesso mondo che tutti noi conosciamo, in parte l’intimo universo presente nella sua coscienza.
Regola Aurea
Una delle prime regole di composizione che si studiano è la regola dei terzi.
Tale regola, in verità molto semplice, prevede di suddividere il nostro frame, la nostra inquadratura, in 9 caselline di uguale dimensione. Così facendo otterremo delle linee orizzontali e verticali che si incrociano fra di loro. Le linee stesse e gli incroci andranno a definire i punti di forza della nostra immagine.
I soggetti e le linee di forza della nostra composizione dovranno appunto andare a coincidere con la griglia che abbiamo idealmente disegnato. Così facendo creeremo immagini di sicuro impatto, dando alla fotografia un aspetto armonioso e ben composto.
Stando a questa regola, ad esempio, se stessimo fotografando una persona essa va posizionata sull’incrocio di uno dei terzi. Discorso simile per un paesaggio: è consigliabile posizionare la linea di orizzonte sul terzo alto o su quello basso, evitando invece di metterlo in mezzo (soluzione più “scontata” e “noiosa”). Ma in base a cosa scegliere il terzo alto o quello basso? I fattori potrebbero essere molteplici. Se ho dei cieli meravigliosi con nuvole dense e profonde probabilmente vorrò dare risalto a queste, posizionando la linea di orizzonte sul terzo basso. Viceversa se sto fotografando un bellissimo prato in fiore con tutta probabilità limiterò lo spazio del cielo valorizzando appunto il prato; in questo caso la linea d’orizzonte sarà sul terzo alto.
Anche questa frutto di calcoli matematici (e di cui in realtà la regola dei terzi ne è un derivato semplificato) trova l’equivalente della funzione matematica da cui è stata calcolata, nella forma spiralidea che troviamo in molti elementi in natura (tant’è che la possiamo ritrovare dalla Via Lattea fino al guscio della chiocciola), In natura è così ricorrente trovare tale formula matematica che alcuni l’hanno anche definita la firma di Dio.
Ora, come detto, visto che la regola dei terzi altro non è se non una semplificazione di questa potremmo applicare lo stesso principio della regola dei terzi nella sezione aurea. Utilizzeremo tale grafico per poter andare a inserire le linee di forza all’interno della nostra fotografia. Il nostro occhio sarà così “forzato” a seguire le linee e gli elementi che compongono la nostra inquadratura all’interno di uno schema che, in qualche modo, è arcaicamente impresso nella nostra coscienza. Il che ci garantirà una fotografia composta in modo armonico e, in qualche modo, matematicamente bello.
Framing & Ritmo
Framing e ritmo sono regole di composizione fotografica estremamente efficaci e che vengono spesso usate anche dai più grandi maestri per poter creare delle immagini sorprendenti. Sono sostanzialmente diverse anche se hanno una matrice in comune: contrapporre degli elementi per poterne esaltare la forza espressiva.
Il framing è una semplice regola di composizione che parte da un principio ancor più semplice e antico. Siamo soliti incorniciare qualcosa, un quadro, una stampa antica o una fotografia quando in qualche modo vogliamo proteggerla e valorizzarne il contenuto rispetto al mondo esterno.
Perchè non applicare lo stesso principio quando componiamo un’immagine in fotografia?
Seguendo tale ragionamento allora potremmo utilizzare elementi posti in primo piano (o anche sullo sfondo) per poter andare a “incorniciare” il nostro soggetto, dando così molto risalto allo stesso. Inoltre se impariamo a dosarla e usarla daremo grande profondità alla fotografia.
Dunque gli elementi fondamentali per una composizione di tale tipo sono due: un soggetto e un elemento che ne funga da cornice. Sarà la nostra fantasia e la nostra capacità di vedere l’arte e il bello nel mondo a portarci a trovarne di più disparati.
Un’altro elemento molto accattivante in fotografia è il ritmo.
Il ritmo, termine mutuato dalla musica, è la ripetizione di un elemento sonoro e/o di una pausa a cadenza regolare e ciclica. Nel linguaggio visivo e nella fotografia questa ripetizione può essere di una serie di elementi (ad esempio architettonici), di una texture, di un pattern, che va a creare una sorta di serialità all’interno della nostra fotografia. Lo scopo di questa ripetizione è semplificare una cosa complessa. E una cosa complessa, quando viene resa semplice, crea automaticamente nel cervello una sorta di situazione confortevole. Il ritmo di elementi nel mondo lo possiamo trovare in molteplici situazioni; sarà l’allenamento che faremo fare al nostro occhio a rendere più semplice individuarlo. Una volta fatto, usatelo a vostro vantaggio. Per creare uno sfondo a un soggetto, per creare un primo piano davanti al nostro soggetto, per farlo diventare soggetto stesso della nostra immagine. Quando avremo familiarizzato con questa semplice regola impariamo a capire come c’è qualcosa forse anche più interessante: la rottura del ritmo. Lo spazio vuoto, l’intervallo, la piccola stonatura in un pattern complesso creano quell’imprevedibilità che spezza la monotonia tipica della ripetizione.
I Contrasti
Tutta la fotografia, la più grande fotografia mai fatta, ma oserei dire tutta l’arte e la comunicazione non verbale, è fondata attorno a questo concetto, i Contrasti.
Perché? Perchè è nella natura umana amare i contrasti. I contrasti sono ciò che trasforma una cosa noiosa in molto interessante. Sono il pepe che andiamo a mettere su un piatto per esaltarne il gusto. Sono la base della costruzione di un linguaggio non verbale poetico.
I contrasti li possiamo trovare sotto diverse forme. Solitamente amo distinguere i contrasti in tre tipologie.
La prima categoria sono i contrasti cromatici. Il contrasto nell’immagine deriva dalla giustapposizione di elementi cromatici contrastanti fra di loro. Per esempio avremo un forte impatto se inseriamo un elemento di colore caldo in una composizione composta prevalentemente da torni freddi.
La seconda categoria è quella dei contrasti formali. In questo caso il contrasto non è più dettato da cromatismi antitetici bensì da forme opposte. Tale contrasto si presta bene nella fotografia in bianco e nero, in quanto l’assenza di colore tende a mettere in evidenza linee e forme. Contrasto formale lo troviamo ad esempio fra le forme frammentate e quelle omogenee, fra elementi lineari e curvi, geometrici ed organici ecc.
Il terzo ed ultimo caso è quello dei contrasti concettuali. Il contrasto in questo caso non deriva né da una contrapposizione di colori né di forme, piuttosto da un ragionamento. Il contrasto dunque in questo caso nasce non dall’istinto ma dalla conoscenza. Nasce solo grazie alla conoscenza degli elementi che compongono l’immagine e al loro valore simbolico, ovvero a ciò che rappresentano. Ad esempio il caffè e il tè in sè non sono elementi a contrasto in quanto entrambe sono bevande calde, da colazione e di colore vagamente simile. Il contrasto nasce dalla nostra conoscenza, ovvero dal fatto che il caffè lo associamo ad una bevanda che beviamo spesso in piedi e velocemente, il cui scopo è quello di fornirci una carica di energia extra. Il tè invece lo associamo ad un rituale lento, da fare in compagnia, seduti, per ritrovare un attimo di pace e spiritualità in una giornata frenetica.
Sono proprio i contrasti concettuali quelli che creano maggior interesse in un’immagine, offrendoci la possibilità di “leggere” una storia. Amo molto quest’immagine che ho scattato qualche anno fa a Manhattan in quanto, pur essendo un’immagine semplice e non particolarmente eclatante, trovo che abbia un valore simbolico molto forte. Abbiamo pochissimi elementi che la compongono. Dei cieli nuvolosi sullo sfondo, la silhouette di due edifici e, sui due terzi contrapposti, due elementi. Da una parte una croce cristiana e dall’altra la oldglory, la bandiera a stelle e strisce. Trovo molto forte e molto distante la differenza che intercorre fra i due elementi che in qualche modo rappresentano il potere politico e spirituale che governano il mondo.
La figura umana
Essendo la nostra visione del mondo tendenzialmente antropocentrica, ovvero che pone l’uomo e l’umanità al centro di ogni cosa, così come esistono innumerevoli regole di composizione non possono mancare delle regole che vanno a definire i vari modi in cui inquadrare la figura umana.
Il Campo Lungo
Partendo dall’inquadratura più larga la prima che incontriamo è detta campo lungo. In questa inquadratura, spesso fatta orizzontalmente (o in formato landscape) l’uomo occupa una piccola porzione del frame. In questo modo l’uomo risulta piccolo, se vogliamo schiacciato dall’ambiente che lo accoglie. In questo caso l’accento è posto sull’ambiente e ciò che conta dell’uomo è limitato a un macrolinguaggio del corpo. Difficilmente infatti sarà possibile andare a scorgere eventuali sentimenti espressi dal volto.
La figura intera
Stringendo il campo la seconda inquadratura che troviamo è la figura intera. Generalmente questo è uno scatto che viene fatto verticalmente (o in formato portrait) e la figura occupa per quasi la sua interezza il frame. Il corpo umano è inquadrato dalla testa ai piedi, generalmente lasciando un po’ di aria sopra la testa. In questo caso ovviamente l’accento è posto sull’uomo, mentre l’ambiente occupa una piccola porzione attorno alla figura, quasi come a voler essere un contorno del soggetto. Particolare importanza in questo caso l’hanno sia l’ambiente circostante che il linguaggio del corpo, mentre relativamente importante è il linguaggio del volto.
Il mezzo busto
L’inquadratura successiva al piano americano è il mezzo primo piano, detto anche mezzo busto. Tale nome deriva dalla statuaria classica, anche se effettivamente in fotografia ha preso una connotazione più larga, in quanto mostra una maggior porzione della figura. E’ estremamente utilizzato in televisione, specialmente dai giornalisti ed è un’inquadratura che prevede di riprendere la figura dal capo al petto. Solitamente viene scattato verticalmennte, anche se non è una regola imprescindibile. Con il mezzo busto entriamo nella famiglia dei primi piani, in cui la forza espressiva del volto diventa fondamentale per il messaggio che vogliamo trasmettere.
Il primo piano
Quando vogliamo fotografare una persona, il primo piano è forse una delle inquadrature più usate, soprattutto nella ritrattistica. Il taglio è stretto, quasi claustrofobico, l’ambiente attorno al soggetto è inesistente o ridotto ai minimi termini, anche qui l’inquadratura è spesso verticale e può includere dal capo fino alla clavicola, anche se alcuni lo stringono ulteriormente inquadrando solo da poco sopra la fronte fino a poco sotto il mento. La scelta è abbastanza soggettiva.
Ovviamente con questa inquadratura il protagonista indiscusso è il volto e l’accento viene posto in particolare sugli occhi, che devono riuscire a raccontare tutto. Alcuni inseriscono una mano all’interno della composizione anche se lo sconsiglio, soprattutto quando si è alle prime armi, in quanto tali elementi andranno a rendere più complessa la composizione. Della stessa famiglia è il primissimo piano. Nel primissimo piano l’inquadratura si concentra ulteriormente rispetto al primo piano. Il volto (ovvero bocca naso e mani) occupa l’intera totalità del frame rendendo la fotografia estremamente densa, quasi soffocante. E’ un taglio piuttosto desueto che andremo ad usare solo quando vogliamo che il protagonista della nostra immagine sia il volto stesso (o più specificamente gli occhi). Infatti in questo caso abbiamo praticamente un’assenza completa del mondo circostante, rendendo in qualche modo il protagonista estraneo a qualsiasi ambiente esterno.
I Dettagli
Oltre a queste categorie potremmo aggiungere anche quella dei dettagli. Fondamentalmente i dettagli sono, come lo stesso nome suggerisce, dettagli di parti del corpo. In questo caso il focus non è necessariamente sul volto, ma può essere anche su altre parti della figura umana. Ad esempio possono essere una mano, un occhio, una parte del labbro, l’ombelico ecc. Solitamente sono inquadrature evocative, emozionali e con tendenza all’astrazione che richiedono una lente macro.